Non ricordo il primo giorno in cui l’ho fatto per davvero. La scena, però, mi è chiara ogni volta che la rivivo.
Era una mattina di gennaio, inverno tiepido. La casa dormiva ancora.
Mi sono alzato presto, come spesso capita quando l’insonnia incontra un pensiero troppo vivo. Sono passato nel corridoio cercando di non svegliare Maria Giovanna. Il pavimento era freddo sotto i piedi. Hero, il nostro Jack Russell, mi ha seguito in cucina scodinzolando piano.
Nelle tapparelle filtra una lama di luce azzurra, presto inghiottita dal profilo delle montagne.
Mi sono versato il caffè. Ho scelto il silenzio.
Non una decisione rumorosa, semmai un bisogno: la testa piena di liste e doveri, il cuore in trincea dopo settimane di fatica. Ho posato la tazza bollente sulle mani ancora assonnate. Niente radio, niente telefono.
Solo io, il soffio del gas, il vapore sul vetro, il primo sole invernale che si affaccia nel cielo.
In quell’istante ho sentito una calma strana, come uno spazio più largo dove la giornata poteva nascere diversa. Avevo bisogno di chiarezza, ma non sapevo ancora cosa stessi cercando.
Il momento della svolta: quando il silenzio mattutino ha fatto la differenza
C’è stato un periodo in cui la mia testa era piena di voci. Le scadenze del lavoro, i messaggi alle cinque del mattino, i figli già svegli con domande o litigi su sciocchezze. Vivevo in una sensazione continua di urgenza, come se ogni giorno dovesse cominciare già in rincorsa.
Una sera, dopo l’ennesima discussione sul nulla, Maria Giovanna mi ha guardato stanca dalla porta del soggiorno: “Marco, ma tu riesci mai a sentire quando finisce il rumore?” Non ho risposto, perché non sapevo cosa rispondere.
Mi accorgevo che, pur dormendo accanto a chi amo di più, mi svegliavo spesso teso, già reattivo. Christian, a 14 anni, sapeva coglierlo dalle prime battute a tavola: “Papà, oggi mi sembri sulle spine”.
Quel giorno di gennaio ho provato a restare zitto. Non un silenzio triste o punitivo. Piuttosto un invito. Ho lasciato parlare solo i rumori della casa. Il cucchiaino contro la tazza. Il respiro di Hero vicino ai piedi.
Per la prima volta in tanto tempo mi sono accorto che il mondo non chiedeva nulla, lì, in quel momento. E che il mio bisogno di chiarezza non era un lusso, ma una forma di sopravvivenza. La tensione nel corpo si è sciolta piano. La mente, ancora amareggiata e nebbiosa, ha smesso di rincorrere subito la soluzione a ogni problema.
In quegli istanti ho sentito che c’era uno spazio per respirare prima di indossare il “ruolo” del giorno. E che quel vuoto, più che un’assenza, era in realtà pieno di possibilità.
Dalla quiete all’essenziale: come riconnettersi a ciò che conta
Nel silenzio del mattino succede qualcosa che né libri né corsi possono offrire. È uno spazio in cui non devo essere nessuno, nemmeno il papà, il coach, il marito. Solo uno che aspetta e osserva.
Ho iniziato ad avvicinarmi sempre più alla domanda chiave portata dalla pratica dell’autoindagine che Ramana Maharshi suggeriva: “A chi vengono questi pensieri?” All’inizio la risposta era sempre caotica, confusa. Ma con il tempo, quella domanda ha iniziato a sciogliere il nodo della fretta. Non sono i pensieri a guidarmi appena sveglio, ma il modo in cui li accolgo.
Proteggere questo spazio è diventato quasi un rito. La prima tazza di caffè, la schiena che si stira verso la finestra, le mani intorno alla ceramica: mi vieto il telefono, evito la radio, magari una candela accesa se fuori è ancora buio. La giornata parte in modo diverso. Mi sembra di sentire meglio cosa conta davvero e cosa invece, appena lasciato andare, si rivela superfluo.
Ho trovato conferme in molte direzioni.
Ad esempio, prendersi quei minuti per riflettere sulle difficoltà previste, sulle virtù che vorrei incarnare nella giornata, mi aiuta a orientare il pensiero senza farmi sommergere dall’ansia. Scrivere due parole in un taccuino, restare seduto in ascolto, meditare anche solo dieci respiri lenti.
Qualche volta, lo ammetto, la mente cerca di fregarmi: “Stai solo perdendo tempo…” Ma sono proprio quei minuti, così semplici e apparentemente vuoti, che rimettono a fuoco le priorità e riducono la confusione.
Chiudo gli occhi e mi domando: “Questa paura, questa urgenza… a chi vengono davvero?”
La risposta non arriva subito, ma, spesso, sento sciogliersi una tensione integrata da troppi giorni. Mi accorgo che posso scegliere cosa portare con me e cosa lasciare evaporare come la nebbiolina sull’asfalto quando il sole sale.
Il laboratorio familiare: trasmettere la presenza ai miei figli
Nella mia famiglia, il silenzio non è mai stato naturale. Tre figli, ognuno con un modo diverso di occupare la casa e il tempo.
Christian riflessivo e curioso, sempre pronto a chiedermi perché preferisco stare zitto mentre faccio colazione: “Papà, ti annoi da solo o è bello?” Gli spiego che è bello, che serve stare in silenzio per capire cosa davvero sento.
Alessandro, dieci anni, è energia pura. Una mattina si è avvicinato di corsa mentre cercavo di raccogliere i pensieri: “Papà, posso urlare o oggi fai la tua roba zen?” Gli ho sorriso, accettando che anche il silenzio può lasciare spazio al rumore, ma solo quello vero, quello della vita.
Con Gaia, otto anni, la questione è diversa. Si è seduta di fianco a me tenendomi la mano: “Oggi il caffè profuma più dolce, papà.”
In quei momenti ho visto nei miei figli il bisogno naturale di quiete, di rallentare.
Non sempre capiscono, spesso mi imitano per gioco. Ma da lì sono nati piccoli rituali: qualche minuto insieme in silenzio prima di andare a scuola, l’abitudine di parlare poco appena alzati.
Ho anche sperimentato con loro il potere del radicamento spirituale, qualche volta adottando l’ascolto di un mantra insieme. Non servono grandi spiegazioni; ci si siede, si ascolta, e nelle piccole pause ognuno trova la forza di continuare la sua giornata.
Negli ultimi anni, questi frammenti di silenzio condiviso ci hanno reso più uniti. I litigi sono meno aspri al mattino, i momenti di tensione si sciolgono più in fretta, la casa sembra respirare insieme a noi.
Gli errori che ho commesso
Nessun cambiamento è lineare.
All’inizio ero troppo rigido. Ho provato a imporre alla famiglia l’obbligo del “silenzio sacro”: risultato, solo disagio e opposizione. Ho frainteso il silenzio per isolamento, chiudendomi troppo invece di aprirmi. A volte ho usato il silenzio come fuga dal confronto invece che come spazio di ascolto.
La lezione più utile è stata questa: non si può imporre la pace.
Ogni rituale funziona solo se sentito, non comandato. Così ho imparato ad accogliere i rumori dei bambini, a non difendere il mio tempo come una barricata, ma a creare possibilità di silenzio condiviso quando si presenta l’occasione.
Se tornassi indietro, suggerirei dolcezza e gradualità. Vietato pretendere perfezione da sé e dagli altri.
I risultati misurabili
Da quando dedico almeno dieci minuti al silenzio ogni mattina, il mio modo di affrontare le prime ore cambia del tutto. Mi sento più calmo, meno incline a reazioni impulsive. Ho imparato a filtrare le vere priorità, distinguendo ciò che nasce dalla paura da quello che serve davvero.
Anche il lavoro beneficia di questa pratica. Meno errori quando inizio il computer, più chiarezza sulle cose che posso gestire e su quelle da lasciare andare. Le conversazioni in famiglia sono più distese; riusciamo a ridere anche quando siamo in ritardo. La sensazione generale è una: il giorno non mi comanda più. Sono io a fare spazio affinché il giorno si apra.
Un invito alla pratica
Se ti rispecchi nella mia ricerca, ti propongo un piccolo esperimento. Domani mattina, prima del telefono o della tv, siediti in silenzio per dieci minuti. Tieni una tazza calda tra le mani. Senti il corpo svegliarsi. Osserva i pensieri che arrivano, ma invece di seguirli, chiediti piano: “A chi vengono questi pensieri?” Non cercare la risposta subito. Resta nell’ascolto.
Concediti questa pausa come un dono, non come una disciplina imposta. Forse non cambierà tutto in un giorno, ma potresti scoprire che il punto di partenza per una giornata più chiara e umana è già qui, nascosto tra un respiro e l’altro.
Se qualcosa emerge, piccolo o grande che sia, te ne accorgerai.
Se ti va, scrivimi o rispondi alla newsletter PRESENZA per raccontare la tua esperienza.
📬 Newsletter PRESENZA
Vuoi approfondire queste pratiche e ricevere ogni settimana nuove riflessioni sui quattro pilastri dell’esistenza autentica? La newsletter PRESENZA arriva ogni domenica mattina con strumenti concreti per integrare consapevolezza e leadership.
👉 Iscriviti gratuitamente a PRESENZA
Entro fine 2025 lancerò l’ecosistema completo PRESENZA con community esclusiva, corsi avanzati e percorsi di coaching personalizzato.
La newsletter è il tuo accesso prioritario a tutto quello che arriverà
Se vuoi approfondire uno dei quattro pilastri:
- Stoic Life Daily: La newsletter quotidiana per rendere lo stoicismo pratico e accessibile ogni giorno.
- Essenzialismo: La community per vivere “meno ma meglio”. Idee, pratiche e approfondimenti quotidiani su essenzialismo, stoicismo e zen.
- La Piramide del Successo: Newsletter e percorsi per integrare i principi di John Wooden nella vita e nel lavoro.
- Io Sono, dunque penso: Il percorso settimanale di autoindagine e spiritualità pratica.