Le metriche dicevano che stavo vincendo. Il calendario di Google era un mosaico perfetto di impegni incastrati al millimetro. Le notifiche di Stripe annunciavano vendite. I clienti lasciavano recensioni positive.
Visto da fuori, il quadro della mia vita professionale era impeccabile. Ero un imprenditore digitale con vent’anni di battaglie alle spalle, un professionista che, dopo innumerevoli cadute, “ce l’aveva fatta”.
Dentro, però, il rumore era assordante.
Un ronzio costante di ansia, un’insoddisfazione sorda che nessuna metrica positiva riusciva a silenziare.
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Il Paradosso del Successo Interiore
Ricordo un pomeriggio di sole del 2018, uno di quei momenti che si imprimono nella memoria come una fotografia. Ero nel mio studio. La luce tagliava la stanza, illuminando la polvere che danzava nell’aria.
Avevo appena chiuso una chiamata importante, una di quelle che sulla carta definiresti una vittoria strategica. Un nuovo progetto, un accordo raggiunto, un altro pezzo del puzzle posizionato con cura.
Eppure, una volta riattaccato, non sentii nulla. Nessuna euforia, nessuna scarica di adrenalina, nessuna soddisfazione.
Solo un vuoto.
Un vuoto profondo, quasi fisico, al centro del petto. E una domanda, silenziosa e brutale, che si fece largo tra il rumore: “Tutto qui?”
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Il Vangelo della Produttività Frenetica
Per quasi due decenni, avevo vissuto secondo il vangelo della produttività frenetica. La mia religione era l’efficienza, il mio dio era il multitasking. Credevo fermamente che il mio valore come persona fosse direttamente proporzionale a quante cose riuscivo a spuntare dalla mia to-do list prima di sera.
Ho cavalcato quest’onda attraverso tre cicli completi di impresa, conoscendo il sapore amaro del fallimento e la fatica della ripartenza nel 2006, nel 2014 e ancora nel 2019. Ogni volta, dopo ogni caduta, la lezione che credevo di aver imparato era sempre la stessa: la prossima volta dovrò essere più veloce, più efficiente, più produttivo. La risposta, mi dicevo, era sempre e solo una: fare di più, più in fretta.
Ma quel pomeriggio del 2018, l’intero castello di carte iniziò a vacillare.
Compresi con una chiarezza spietata la natura dell’inganno in cui ero immerso. Non stavo costruendo una vita, stavo solo correndo su un tapis roulant sempre più veloce. Stavo accumulando “successi” che non avevano sapore, perché non erano allineati con la mia essenza più profonda.
Ero il perfetto esempio del successo che svuota. Ero incredibilmente produttivo, ma non ero presente a me stesso. Ero perennemente impegnato, ma non ero realmente realizzato.
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Il Costo Nascosto della Fretta
La produttività frenetica è una droga sottile, la più socialmente accettata del nostro tempo. Ti dà l’illusione del controllo, del movimento, del progresso. Ti fa sentire importante. Il problema è il suo costo nascosto, un costo che non finisce nel bilancio aziendale, ma che si paga con la propria anima. Il costo è la disconnessione.
Ti disconnette da te stesso, perché non c’è più spazio per l’ascolto interiore quando la tua mente è un flusso ininterrotto di notifiche e scadenze. Ti disconnette dalle persone che ami.
Quante volte ho risposto “Sì, ti ascolto” a mia moglie o ai miei figli, mentre i miei occhi erano fissi su uno schermo e la mia mente era a chilometri di distanza, a pianificare la mossa successiva? L’assenza fisica è evidente, ma l’assenza mentale è un veleno lento che erode le relazioni più preziose.
Soprattutto, ti disconnette dal “perché”. Ti dimentichi del motivo per cui hai iniziato a correre in primo luogo.
La passione si trasforma in routine, la missione in una serie di compiti da eseguire. Ti trasformi nel più efficiente esecutore di task, ma smetti di essere il regista della tua vita.
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La Domanda che Cambia Tutto
Quella crisi del 2018 non fu la fine, ma un doloroso, necessario inizio. Fu il momento in cui, per la prima volta, smisi di cercare la risposta all’esterno e iniziai a guardarmi dentro. Smisi di ossessionarmi con la domanda “Come posso fare di più?” e iniziai a esplorare una domanda infinitamente più potente: “Chi è che sta ‘facendo’ tutte queste cose?”.
Fu il punto di rottura che mi costrinse a cercare un modo diverso di esistere, non solo di produrre. Mi immersi nello Stoicismo non come esercizio intellettuale, ma come manuale di sopravvivenza. Scoprii l’Essenzialismo e l’arte liberatoria di dire “no”. Ma soprattutto, attraverso l’autoindagine di Ramana Maharshi, iniziai a toccare con mano uno stato di Presenza che non dipendeva dai risultati esterni.
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Rallentare non è un Lusso, è una Strategia
Ho scoperto che la vera accelerazione non arriva dalla fretta, ma dalla profondità. Che la vera efficacia non sta nel fare cento cose in superficie, ma nel fare con totalità le poche cose che contano davvero. È come un pianista che vuole eseguire un passaggio complesso alla massima velocità. Non lo ottiene provando e riprovando freneticamente. Lo ottiene studiando il pezzo lentamente, nota per nota, con una presenza totale, fino a quando le sue dita non hanno interiorizzato il movimento.
La velocità diventa allora una conseguenza naturale della padronanza, non dello sforzo.
Questo non è un articolo per darti un’altra tecnica di gestione del tempo. Ho riempito quaderni con quelle tecniche. Questo è un invito a mettere in discussione il sistema operativo che sta girando in sottofondo nella tua vita. Un invito a fermarti, anche solo per l’istante necessario a leggere queste parole, e a farti la stessa domanda che ha cambiato tutto per me.
Sei assolutamente sicuro che la scala sulla quale ti stai arrampicando con tanta fatica sia appoggiata alla parete giusta?
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