Non è duro il colpo inferto da una disgrazia prevista. Ma se uno è sciocco e si affida alla sorte, ogni avvenimento gli sembra nuovo e inaspettato; per gli ignoranti gran parte del male è rappresentata dalla novità. Sappi questo: le disgrazie che sembravano loro intollerabili, le sopportano con più coraggio quando ci hanno fatto l’abitudine. Perciò il saggio si abitua ai mali futuri e, mentre per gli altri diventano sopportabili dopo una lunga sofferenza, egli li rende tali con una lunga meditazione. Certe volte sentiamo dire da un ignorante: “Questo me lo aspettavo”, il saggio si aspetta tutto; qualunque cosa gli capiti, dice: “Me l’aspettavo”.
Seneca, Lettere a Lucilio IX, 76, 34-35
Questo passo di Seneca introduce l’esercizio stoico della “praemeditatio malorum“, la previsione delle avversità. Questo esercizio spesso fa etichettare gli stoici come dei pessimisti, ma la realtà è completamente diversa. Gli stoici sono solo persone estremamente realiste, consapevoli che a volte le cose non andranno secondo i loro piani e che si tengono sempre mentalmente pronti a questa evenienza.
Immaginiamo che tu sia la volante della tua auto bloccata nel traffico, in ritardo per un fondamentale colloquio di lavoro che sei riuscito a ottenere dopo un lungo periodo di disoccupazione. Per un attimo consideri la possibilità di chiamare il datore di lavoro per avvisare di essere trattenuto, ma ti senti troppo agitato per farlo. Questo è un tratto caratteristico di ciò che gli stoici chiamano “passione”: ti annebbia la mente, impedendoti di agire o di pensare in modo ragionevole.
In questo caso una cosa è certa: avere o non avere una mente pronta ad affrontare le avversità, non cambia il fatto di trovarsi comunque imbottigliato nel traffico con la quasi certezza di perdere il colloquio di lavoro.
Ma il fatto di non essere preparato avrà due effetti che fanno la differenza.
- Dal momento che non puoi evitare di arrivare in ritardo e perdere il colloquio, e con esso la possibilità di essere assunto, questa situazione diventa ciò che gli stoici definiscono “non preferibile”, ossia qualcosa che preferiremmo non fare o che non accadesse. In una situazione del genere agitarsi non servirà a nulla, ma avrà solo l’effetto di renderti ancora più infelice, aggiungendo un colpo autoinferto a quello già ricevuto dall’esterno.
- Hai deciso di non chiamare il datore di lavoro per avvertirlo del problema semplicemente perché sei troppo agitato da tutta la situazione. Se saresti in grado di accogliere la situazione con equanimità, probabilmente ti renderesti conto che non correresti nessun rischio a chiamare il datore di lavoro. La decisione di chiamare oppure no è sotto il tuo controllo. Tuttavia, per colpa del tuo stato di agitazione non sei riuscito a fare ciò che è nel tuo interesse.
Il filosofo stoico Crisippo di Soli, il terzo maestro della Stoà antica (come veniva chiamata la scuola degli stoici), inventò una metafora molto adatta ai cosiddetti “indifferenti non preferibili” e, a pensarci bene, alla vita in generale.
Immagina un cane legato a un carro da una corda. Il cane sta pensando agli affari suoi, forse si sta divertendo ad abbaiare per gioco a un altro cane vicino. Improvvisamente, il carro comincia a muoversi. Il cane preferirebbe restare un po’ più a lungo e continuare ad abbaiare al suo amico, ma non ha scelta. La corda lo obbligherà a seguire il carro. A questo punto, il cane ha due opzioni: può prendere nota della situazione, accettare ciò che non può controllare e iniziare con cautela a seguire il carro, magari sperando di incontrare altri cani lungo la strada; oppure può arrabbiarsi, gettarsi a terra e tentare di opporre resistenza.
Secondo te, qual è la scelta più saggia? Ecco, il cane siamo noi e il carro è l’universo. Incontreremo situazioni che ci renderanno impossibile fare ciò che abbiamo intenzione di fare. Sta a noi scegliere se affrontare la circostanza indesiderata con equanimità e fare del nostro meglio con ciò che abbiamo, o lasciarci trascinare tra le urla e i calci. Il risultato finale sarà lo stesso, ma possiamo risparmiare a noi stessi una gran dose di sofferenza.
Bibliografia:
– Lettere a Lucillo di Seneca
– Stoicismo. Esercizi spirituali di Massimo Pigliucci
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