Da Zenone e Crisippo fino a Epitteto, la formulazione della dottrina stoica si è evoluta e a volte attenuata un po’, ma i dogmi fondamentali non sono mai cambiati.

Comunque, Epitteto, forse a causa dei suoi metodi di insegnamento, che lo portavano a spiegare i testi dei fondatori della scuola, ritorna alle origini. Si potrebbe raccomandare la lettura e lo studio di Epitteto a chi vuole comprendere l’antico Stoicismo.

Tema fortemente strutturato nella dottrina di Epitteto, e che lo lega strettamente a Marco Aurelio, è il distinguere le tre attività della mente e dell’anima: il desiderio di acquisire ciò che è bene, l’impulso ad agire e il giudizio sul valore delle cose.

Basandosi sulla tradizione stoica tradizionale e fondamentale tra ciò non dipende dalla nostra volontà e ciò che dipende dalla nostra volontà, Epitteto enuncia le tre attività:

Dipendono da noi: giudizio di valore, impulso ad agire, desiderio, avversione, e in una parola, tutti quelli che sono propriamente fatti nostri. Non dipendono da noi il corpo, la ricchezza e gli onori, le opinioni che gli altri hanno di noi, le cariche pubbliche, e in una parola tutti quelli che non sono propriamente fatti nostri.

Si intravede qui uno dei fondamentali atteggiamenti stoici, la delimitazione della nostra sfera personale di influenza e libertà, di un inespugnabile isolotto di autonomia al centro dell’immenso fiume degli accadimenti, del destino.

Ciò che dipende da noi sono gli atti della nostra anima, che abbiamo il potere di sceglierli liberamente: possiamo giudicare o non giudicare, possiamo giudicare in questo o quel modo, possiamo desiderare o non desiderare, volere o non volere.

Al contrario, ciò che non dipende da noi è tutto ciò che dipende dal corso generale della natura. Epitteto cita anche il nostro corpo: è vero che possiamo influenzarlo, ma non ne siamo del tutto padroni; la nascita, la morte, le malattie, i movimenti involontari, le sensazioni di piacere o di dolore sfuggono completamente alla nostra volontà. Quanto alla ricchezza e gli onori, possiamo cercare di procurarceli, però il successo definitivo non dipende da noi, ma da un insieme incontrollabile di fattori umani e di eventi esterni a noi, che sono imponderabili e non dipendono da nostro volere.

Lo stoico delimita un centro di autonomia: l’anima in opposizione al corpo, il principio direttivo in opposizione al resto dell’anima, ed è all’interno di questo principio direttivo che si trovano la libertà e il vero io. E solo lì possono trovarsi il bene morale e il male morale, dato che non c’è bene o male morale che non sia volontario.

Ritornando alle tre attività dell’anima e della mente, Epitteto afferma che il vero filosofo deve esercitarsi:

Ci sono tre ambiti in cui deve esercitarsi chi vuole essere buono e virtuoso:
– l’ambito che riguarda i desideri e le avversioni, per non essere delusi in ciò che si spera, né imbattersi in ciò che si avvera.
– l’ambito che riguarda gli impulsi ad agire e le repulsioni, e in genere quello che riguarda ciò che conviene alla nostra natura, in modo tale da agire con ordine, razionalità e senza trascuratezza.
– l’ambito dove si tratta di evitare l’errore e le ragioni insufficienti e in generale, ciò che riguarda l’assenso (che diamo ai giudizi).

Da qui emerge la teoria delle tre discipline di Epitteto: la disciplina del desiderio, la disciplina dell’azione e la disciplina dell’assenso.

La disciplina del desiderio

Il primo ambito è quello dei desideri e della avversioni.
Le persone sono infelici perché desiderano delle cose che considerano come beni, che rischiano di non ottenere o di perdere, e perché tentano di evitare le cose che considerano come mali, che spesso sono inevitabili, perché questi presunti beni o questi presunti mali, come la ricchezza, la salute o al contrario la povertà o la malattia, non dipendono da noi.

L’esercizio della disciplina del desiderio consisterà nell’abituarsi a rinunciare progressivamente a questi desideri e a queste avversioni, per desiderare solo ciò che dipende da noi, cioè il bene morale, e evitare solo ciò che dipende da noi, cioè il male morale.

Ciò che non dipende da noi deve essere considerato come indifferente, cioè non deve essere desiderato, ma accettato in quanto voluto dalla volontà della Natura universale, che Epitteto a volte designa come il nome di “dei” in generale.

Questa disciplina del desiderio riguarda le passioni, le emozioni che proviamo in occasioni di eventi che si presentano a noi.

La disciplina dell’azione

Il secondo ambito d’esercizio è quello dell’impulso all’azione.
Si tratta del campo delle azioni “appropriate” alla nostra natura razionale. Sono azioni (quindi, qualcosa che dipende da noi) che si rivolgono a cose che non dipendono da noi: le altre persone, la politica, la salute, la vita familiare, quindi, ciò che di per sé costituisce una materia indifferente nel senso stoico del termine, ma questi oggetti dell’agire, secondo una giustificazione razionale, secondo una ragionevole verosimiglianza, possono essere considerati come corrispondenti all’istinto di conservazione della natura razionale.

Esclusivamente orientate verso altri, fondate sulla comunione della natura razionale che unisce le persone, queste azioni devono essere guidate dall’intenzione di mettersi al servizio della comunità umana e di far regnare la giustizia.

La disciplina dell’assenso

Il terzo ambito di esercizio è quello dell’assenso.
Bisogna criticare ogni rappresentazione che si presenta a noi, in modo tale che il discorso interiore, il giudizio che emettiamo su questo oggetto non aggiunga nulla di soggettivo a ciò che nella rappresentazione è oggettivo e adeguato alla realtà, in modo che potremo dare il nostro assenso a un giudizio vero.

Bibliografia
Manuale di Epitteto. Introduzione e commento di Pierre Hadot
Epitteto. Tutte le opere
La cittadella interiore. Introduzione ai pensieri di Marco Aurelio di Pierre Hadot

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