Al grande maestro di tiro con l’arco Awa Kenzo non piaceva spiegare a lungo tutte le tecniche per gestire quello strumento. Al contrario, quasi non mostrava ai suoi allievi come prendere la mira e tirare, limitandosi a suggerire loro di lanciare più e più volte, fino a che il tiro “non sarebbe arrivato naturalmente, come cade un frutto maturo”.

Preferiva istruirli affinché sviluppassero una facoltà mentale di grande importanza: il distacco. “Quello che ti ostacola”, disse una volta al suo allievo Eugen Herrigel, “è il fatto di avere una volontà troppo ostinata”. Era proprio quell’ostinazione, il desiderio di controllo e di dettare tempi e modi del mondo circostante, che impediva a Herrigel di imparare, di padroneggiare veramente la competenza che andava ricercando.

Kenzo voleva che i suoi allievi smettessero di concentrarsi sul bersaglio; voleva persino che allontanassero l’idea di dover raggiungere un qualsiasi risultato. “I tiri andati a segno”, diceva, “sono soltanto la prova e la conferma della totale mancanza di scopo, di un’assenza dell’ego, dell’esservi lasciati andare o comunque vogliate chiamare questo stato”.

Questo stato è lo stato di quiete.

Distacco e mancanza di scopo, però, non sembrano affatto atteggiamenti produttivi: non è vero? Kenzo voleva mettere i suoi allievi in una situazione scomoda e difficile. La maggior parte di loro, proprio come noi, voleva che gli si dicesse cosa fare e che gli si mostrasse come farlo. Ci si aspetta che teniamo, e molto, alle cose. La volontà è considerata un importante punto di forza. È quello che ci hanno insegnato fin da piccoli per poter andare bene a scuola. Come potremmo migliorarci senza la forza di volontà? Come riusciremmo mai ad andare a segno?

Facciamo un passo indietro.

In sport come il golf e il tiro con l’arco, questo stato di cose è particolarmente evidente. Se colpite con una forza eccessiva, finirete per produrre un hook. Se alzate lo sguardo per seguire la palla, lo strattone che darete alla mazza vi porterà a ottenere uno slice. Nel tiro con l’arco, l’energia che spendete puntando il bersaglio, soprattutto all’inizio, è energia che non impiegate per migliorare la tecnica. Un’eccessiva consapevolezza di tutte le componenti tecniche del tiro, invece, vi porterà a non essere sufficientemente rilassati o sciolti. Come suggeriscono i buoni tiratori, “se vuoi andare veloce, rallenta”.

La tranquillità, dunque, è un modo per avvicinarsi a prestazioni superiori. Allentare la presa vi darà più controllo che non irrigidirvi, sia come metodo in generale che per raggiungere un risultato specifico.

Naturalmente un maestro di tiro con l’arco come Kenzo aveva capito che, all’inizio del secolo XX, le tecniche che insegnava non erano più questione di vita o di morte: si trattava di un’attività soprattutto ricreativa, non più legata alla sopravvivenza. Alcune delle competenze necessarie per essere dei validi tiratori, però, restavano comunque fondamentali nella vita: concentrazione, pazienza, respirazione, ostinazione, lucidità. E, più di ogni altra cosa, la capacità di lasciar andare.

Nella vita, nell’arte, nello sport, abbiamo bisogno di rilassarci, di essere flessibili e di arrivare a un punto in cui nulla possa più ostacolarci, inclusa la nostra ossessione di raggiungere determinati risultati. Un attore non si cala nel personaggio pensando a come interpretarlo: deve lasciarsi andare, mettere da parte le tecniche di recitazione che ha studiato e immergersi nel ruolo. Gli imprenditori non vanno in giro continuamente a caccia di opportunità, ma sono aperti a notare le piccole cose in cui si imbattono ogni giorno. Lo stesso vale per i comici, ma anche per i genitori alle prese con l’educazione dei propri figli.

Kenzo scrisse che “tutti provano a tirare con naturalezza, ma quasi tutti i neofiti tendono ad affidarsi a un qualche genere di strategia, a trucchi tecnici superficiali, artificiosi e calcolati che, alla fine, non li porteranno da nessuna parte”.

Per quanto paradossale possa sembrare, se vogliamo avere il controllo della nostra mente dobbiamo fare un passo indietro dalla rigidità del concetto di “controllo“. Raggiungeremo la tranquillità di cui abbiamo bisogno solo concentrandoci su una fase dopo l’altra, accogliendo il processo e smettendo di affannarci. Riusciremo a pensare meglio soltanto pensando meno.

La maggior parte delle persone che inizia a interessarsi di un argomento, che sia il tiro con l’arco, lo yoga o la chimica, lo fa avendo in mente un obiettivo ben preciso. Punta ad arrivare al risultato, cercando di ottenere il voto migliore o il punteggio più alto. Porta con sé le proprie competenze pregresse. Vuole saltare le fasi che ritiene non necessarie e arrivare dritto al punto. Il risultato è che l’insegnamento diventa difficile e questi allievi si scoraggiano facilmente non appena si rendono conto che il tragitto da percorrere è più arduo di quanto non si aspettassero. Semplicemente, non sono davvero presenti; non sono aperti ad accogliere l’esperienza e, per questo, non saranno in grado di imparare.

Nella sua scuola, Kenzo annunciava che era arrivato il momento di tirare al bersaglio solo quando si rendeva conto che un allievo aveva finalmente rinunciato a quell’idea con la rassegnazione di chi, da mesi, è costretto soltanto a lanciare frecce verso una balla di fieno a pochi metri di distanza. Anche allora, però, quando gli allievi facevano centro, si guardava bene dal ricoprirli di elogi.

Anzi: dopo ogni colpo, qualsiasi fosse l’esito, li incitava a “continuare a esercitarsi come se niente fosse”. E quando gli venivano richieste ulteriori istruzioni, la sua risposta era, invariabilmente: “Non chiedere, allenati!

Voleva che venissero completamente assorbiti dal processo. Che abbandonassero le nozioni teoriche sul perfetto tiro a segno. Pretendeva che fossero presenti, con la mente sgombra e aperta: una mente pronta ad apprendere.

Nelle religioni induista, buddista, sikh e jainista il fiore di loto è un simbolo molto potente. Sebbene nasca dal fango di stagni e corsi d’acqua e non si innalzi naturalmente verso il cielo, galleggia sereno e libero sfiorando la superficie. La leggenda vuole che, ovunque Buddha camminasse, nascessero dei fiori di loto sulla traccia delle sue impronte. In un certo senso il loto rappresenta anche il principio del lasciar andare. È bellissimo e puro, ma anche modesto e accessibile. Rappresenta, nello stesso tempo, l’attaccamento e il distacco.

È proprio questo l’equilibrio che dobbiamo cercare di raggiungere. Se puntiamo ai trofei della vita, siano essi il riconoscimento sociale, il benessere economico o il potere, probabilmente non riusciremo a ottenerli. L’eccessiva concentrazione sull’obiettivo, infatti, ci porterà a trascurare il processo impedendoci di maturare le competenze necessarie per colpirlo veramente: Kenzo stesso aveva messo in guardia i suoi allievi da un simile rischio. Dobbiamo, quindi, limitarci a fare pratica cercando di allontanare da noi una volontà troppo ferrea.

Vi accorgerete che più sarete in grado di padroneggiare una disciplina, meno vi importerà dei singoli risultati. Più riuscirete a essere creativi e collaborativi, meno tollererete egocentrismo e insicurezza. Più sarete in pace con voi stessi, più sarete produttivi.

Soltanto la tranquillità ci permette di risolvere i problemi più complessi. Soltanto abbassando le aspettative, gli obiettivi più difficili saranno alla nostra portata.

Bibliografia:
La tranquillità è la chiave di Ryan Holiday
Lo zen, l’arco, la freccia. Vita e insegnamenti di Awa Kenzo di John Stevens

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