Nei pressi di un tranquillo incrocio tra le colline della Grecia, all’ombra di nodosi alberi di pino, il grande eroe della mitologia greca Ercole fronteggiò per la prima volta il suo destino. Nessuno sa con precisione dove o quando si siano svolti i fatti: ne abbiamo avuto notizia grazie alle parole di Socrate, e possiamo vederli riprodotti in meravigliose opere d’arte rinascimentali.

Dove era diretto? Dove stava cercando di andare? È questo il fulcro della storia. Solo, sconosciuto e incerto, Ercole non lo sapeva.

Nel punto in cui la strada prendeva due diverse direzioni si imbatté in una bellissima dea, pronta a offrirgli qualsiasi lusinga potesse desiderare. Ornata con abiti eleganti, gli promise una vita agiata, giurandogli che non avrebbe mai dovuto confrontarsi con l’infelicità, il dolore o la paura; se l’avesse seguita, gli disse, avrebbe esaudito ogni suo desiderio.

Sull’altro sentiero lo attendeva invece una seconda dea, più austera della prima e avvolta in una sobria veste bianca. Il suo appello fu decisamente più misurato. Non gli promise alcuna ricompensa, se non quelle che si sarebbe guadagnato attraverso il duro lavoro. Sarebbe stato un viaggio lungo e irto di sacrifici, disse. Ci sarebbero stati momenti spaventosi. Ma era un viaggio all’altezza di un dio, e lo avrebbe reso la persona che i suoi antenati volevano che fosse.

È un fatto reale? È successo davvero? E se fosse solo una leggenda, avrebbe comunque rilevanza? Sì, perché è una storia che ci riguarda. Che riguarda i nostri dilemmi. I bivi della nostra vita.

Ercole fu chiamato a scegliere tra il vizio e la virtù, tra la via semplice e quella più complicata, tra la strada spianata e quella dissestata. Dobbiamo tutti affrontare scelte del genere. Dopo un brevissimo istante di esitazione optò per quella che sapeva avrebbe fatto la differenza: la virtù.

Anche se può sembrare un termine antiquato, la parola “virtù”, aretè, rimanda a un concetto basilare e senza tempo: l’eccellenza. Morale. Fisica. Mentale.

Nel mondo antico, la virtù era costituita da quattro elementi chiave:

  • coraggio;
  • temperanza;
  • ​giustizia;
  • saggezza.

Secondo Marco Aurelio, queste doti erano le “pietre di paragone della bontà”.

Milioni di persone le conoscono come virtù cardinali, ideali quasi universalmente riconosciuti dalla cristianità e dalla maggior parte delle filosofie occidentali ma ritenuti altrettanto importanti da buddisti, induisti e pressoché da ogni altra filosofia esistente.

Come sottolineato da C.S. Lewis, si chiamano “cardinali” non perché siano state imposte dalle autorità ecclesiastiche, ma perché il loro appellativo deriva dal latino cardo, che significa cardine, perno. Sono concetti di cardinale importanza, dunque, su cui è imperniato il nostro portone di accesso a una vita di qualità.

Il coraggio, l’audacia, la forza d’animo, l’onore, il sacrificio…
La temperanza, l’autocontrollo, la moderazione, la compostezza, l’equilibrio…
La giustizia, la correttezza, lo spirito di servizio, la collaborazione, la bontà, la gentilezza…
La saggezza, la conoscenza, la cultura, la verità, l’introspezione, la pace…

Si tratta di virtù fondamentali per vivere una vita ricca di onore, gloria ed eccellenza sotto ogni punto di vista; lati della personalità che John Steinbeck descrisse alla perfezione definendoli “piacevoli e desiderabili per chi li possiede, e che permettono di compiere azioni di cui andare fieri e sentirsi soddisfatti”.

Naturalmente, il riferimento era all’intero genere umano. Il termine virtus non aveva un corrispettivo femminile nell’antica Roma. La virtù era virtù e basta. E lo è ancora. Indipendentemente dall’essere uomini o donne, forti fisicamente o timidi all’inverosimile, menti geniali o individui dall’intelletto mediocre, la virtù resta un imperativo universale.

Le virtù sono correlate e inseparabili, eppure ognuna di esse si distingue dalle altre. Quasi sempre fare la cosa giusta richiede coraggio; analogamente, è impossibile esercitare la disciplina se non si possiede la saggezza necessaria a capire cosa valga la pena scegliere.

A cosa serve il coraggio, se non è applicato alla giustizia? A cosa serve la saggezza, se non ci rende più umili?

Come una bussola, le quattro virtù ci aiutano a orientarci (c’è un motivo se nord, sud, est e ovest sono chiamati “punti cardinali”). Ci guidano. Ci mostrano dove siamo e ci aiutano a trovare la verità.

Aristotele descriveva la virtù come un’abilità manuale, da perseguire nello stesso modo in cui si persegue la maestria nel padroneggiare qualsiasi professione o competenza. “Impariamo a costruire costruendo, e diventiamo suonatori d’arpa suonando proprio quello strumento”, scrive. “Analogamente diventiamo persone rette compiendo azioni oneste, persone moderate comportandoci con temperanza e persone coraggiose esercitando il coraggio”.

La virtù è qualcosa che facciamo. Qualcosa che scegliamo. E non una volta sola: anche la vicenda di Ercole non si concluse con quel singolo episodio. È una sfida quotidiana, che non affrontiamo una tantum ma costantemente, ripetutamente.

Sarò egoista o generoso? Audace o spaventato? Forte o debole? Saggio o sciocco? Coltiverò buone o cattive abitudini? Mi dimostrerò coraggioso o vigliacco? Sceglierò la comodità dell’ignoranza o la sfida di una nuova idea? Resterò uguale a me stesso… o crescerò? Sceglierò la via semplice o la via giusta?

Bibliografia:
Courage Is Calling: A Book About Bravery di Ryan Holiday

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