La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche e, in una parola, ogni attività che non sia nostra.
Epitteto, Manuale 1,1
Queste sono le parole che aprono l’Enchiridion, il manuale di Epitteto, che definiscono la Dicotomia del Controllo, uno dei principi base dello Stoicismo.
Epitteto divide il mondo in due gruppi: da un lato tutte quelle che sono sotto il nostro completo controllo, dall’altro quelle che non sono sotto il nostro completo controllo. Probabilmente ti sarà venuto in mente che debba esistere un terzo gruppo, quello delle cose su cui abbiamo un controllo parziale, non ti preoccupare ne parleremo in un prossimo articolo.
L’idea di base è dobbiamo necessariamente concentrare le nostre energie mentali su ciò che è sotto il nostro completo controllo e considerare tutto il resto come indifferente.
Per quanto riguarda le cose che non sono sotto il nostro completo controllo, non bisogna smettere di curarsene, ma comprendere a fondo che non c’è garanzia che queste cose indifferenti vadano come ci aspettavamo. A questa comprensione possiamo arrivare solo tramite una pratica costante e questa pratica è il cammino verso l’ataraxía, il termine greco per dire serenità. Possiamo raggiungere la serenità allenandoci a desiderare solo ciò che è completamente sotto il nostro controllo
Analizziamo con più attenzione le categorie di Epitteto.
Secondo il filosofo, abbiamo il completo controllo “del giudizio, dell’impulso, del desiderio e dell’avversione”.
Per Giudizio, Epitteto fa riferimento alla parola greca hypólepsis, la cui traduzione è “prendere da sotto”, o “cogliere“. Questi giudizi possono essere di vario tipo, anche inconsci. È probabile che il filosofo stoico lo abbia messo per primo perché spesso rappresenta il primo passo del processo che ci porta ad avere un qualche tipo di reazione: giudichiamo le cose come intrinsecamente giuste o sbagliate.
Per quanto concerne l’impulso, Epitteto fa riferimento al termine greco hormé. È un impulso che ci spinge ad agire. Il filosofo non fa riferimento a impulsi istinti e automatici, ma a quelli che vengono dopo il giudizio. Se giudichiamo una cosa come buona, vorremmo averla. Se la giudichiamo come cattiva, vorremmo evitarla. Gli impulsi, quindi, sono stimoli ad agire basati su giudizi di valore.
Dopo il giudizio e l’impulso (la voglia di agire) vengono il “desiderio e l’avversione”, ossia la nostra decisione che valga o meno la pena di investire le nostre energie, il nostro tempo e il nostro denaro per ottenere una certa cosa. Ad esempio, quando decidiamo di acquistare un nuovo iPhone riflettiamo se possederlo sia una cosa buona, e poi ci mettiamo in moto per pianificare di acquistarla.
In definitiva, Epitteto sostiene che ognuna di queste cose (il giudizio, l’impulso, il desiderio e l’avversione) sia sotto il nostro controllo. Non è un caso che queste tre aree di controllo corrispondano alle tre discipline della dottrina di Epitteto: si lavora sui giudizi nella disciplina dell’assenso, sugli impulsi nella disciplina dell’azione e sui desideri e le avversioni nella disciplina del desiderio.
In questo modo, la pratica stoica ti allena a padroneggiare tutti quegli ambiti che in teoria puoi controllare. Ecco cos’è, in poche parole, la preparazione stoica.
Bibliografia:
– Epitteto. Tutte le opere.
– Stoicismo: Esercizi spirituali per un anno di Massimo Pigliucci
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