Educarsi filosoficamente significa proprio questo: imparare a riconoscere quel che è proprio e quel che è di altri.
Epitteto, Diatribe, IV, 5, 7

Questa proposizione di Epitteto esprime una radicale “bipartizione di tutte le cose“.
Per poterla comprendere in modo adeguato dobbiamo rifarci alla dottrina della Stoa da cui scaturisce.

Gli stoici antichi distinguevano le cose in “beni“, “mali” e “indifferenti“.
Beni sono solo quelli morali, vale a dire le virtù; mali sono, analogamente, solo quelli morali, vale a dire i vizi. Ciò significa che al di fuori della sfera morale non vi sono né beni né mali, ma solo indifferenti, che sono, quindi, né beni né mali. Questi sono vita e morte, salute e malattia, gioventù e vecchiaia, ricchezza e povertà, bellezza e bruttezza, ecc.

Per attenuare la paradossalità di questa dottrina, la maggior parte dei filosofi stoici convenne sulla opportunità di distinguere, nell’ambito degli indifferenti, quelli preferiti o dotati di valore o stima (vita, salute, gioventù, bellezza, ecc.) e quelli respinti o privi di valore o stima (morte, malattia, vecchiaia, bruttezza ecc.).

Naturalmente, la qualifica di preferiti o dotati di valore o stima, riferita agli indifferenti, non ne modificava la natura; infatti, a essi non veniva, con ciò, riconosciuta la qualifica di beni, così come ai loro opposti non veniva riconosciuta quella di mali.

A più riprese Epitteto fa cenno a questa tripartizione, ma non accoglie la distinzione degli indifferenti di cui si è detto, stabilita nell’ambito dell’antica Stoa. Anzi, proprio spingendo alle estreme conseguenze l’istanza rigoristica, e addirittura facendo in parte proprie le istanze del rigorismo cinico, Epitteto riformula la dottrina stoica in modo più tagliente, trasformando la tripartizione nella bipartizione seguente.

Le cose si dividono in due classi:

  1. quelle che costituiscono nostre attività, come le opinioni, i desideri, gli impulsi e le ripulse;
  2. quelle che non sono nostre attività, come il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche, e simili.

Le prime hanno la caratteristica di essere in nostro potere e di essere incoercibili, le seconde quella di non essere in nostro potere e di essere quindi estranee e coercibili. Di conseguenza, le prime sono libere, in quanto, appunto, dipendono da noi, le seconde sono coatte e schiave, in quanto non dipendono da noi. Ancora, beni e mali possono essere ricercati solamente nelle prime, mai nelle seconde.

Per comprendere meglio questo concetto, leggiamo alcuni testi fondamentali.
Nel redigere il Manuale, che è una sintesi dottrinale delle Diatribe di Epitteto, Arriano di Nicomedia pone, in evidenza questa bipartizione:

Delle cose, le une sono in nostro potere, le altre non sono in nostro potere. Sono in nostro potere l’opinione, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, in una parola, tutte quelle cose che sono nostre proprie azioni; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche e, in una parola, tutte quelle cose che non sono nostre proprie azioni: le cose in nostro potere sono per natura libere, incoercibili e prive di impedimenti, quelle che non sono in nostro potere sono deboli, schiave, coercibili ed estranee. Ricorda, dunque, che se riterrai libere quelle che sono per natura schiave, e tue proprie quelle estranee, sarai impedito, ti affliggerai, sarai turbato e ti lamenterai degli Dei e degli uomini; mentre, se riterrai tuo proprio solo quello che è tuo, ed estraneo, com’è realmente, quel che è estraneo, nessuno ti costringerà mai, nessuno ti impedirà, non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non farai niente controvoglia, non avrai alcun nemico, nessuno ti farà danno, e neppure, in effetti, potrai soffrire alcun danno.
Manuale, 1, 1-3

Nelle Diatribe leggiamo:

Questo è il compito principale della vita: poni una distinzione tra le cose e separa le une dalle altre, e di’: “Gli oggetti esterni non sono in mio potere, la scelta morale è in mio potere. Dove cercherò il bene e il male? Dentro di me, in ciò che mi appartiene”. Trattandosi, invece, delle cose a te estranee, non adoperare mai le parole bene, male, utilità, danno e altre simili.
Diatribe, II, 5, 4-5

Una buona volta e con tutta l’anima, scegli: o questi oggetti o quelli: o libero o schiavo.
Diatribe, II, 2, 13

Non puoi mantenerti rivolto con sollecitudine agli oggetti esterni, e insieme alla parte dominante della tua anima. Se vuoi quelli, abbandona questa; se no, non avrai né questa né quelli, sballottato in entrambe le direzioni.
Diatribe, IV, 10, 25

Bibliografia:
Tutte le opere di Epitteto
Storia della filosofia greca e romana di Giovanni Reale

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